Caro direttore, ci risiamo. L’Italia opportunista, l’Italia che, come sempre è accaduto nella sua storia, è maestra nell’abbandonare i perdenti salendo sul carro dei vincenti, sta prevalendo ancora una volta, appropriandosi i risultati di quella che fino ad oggi era stata la battaglia della parte pulita del paese. Sembra un paradosso, eppure purtroppo non lo è. Ricorda com’era la situazione a febbraio, quando scoppiò lo scandalo della Baggina? Il regime era solido e potente, poteva ancora sperare di limitare i danni, di far apparire quella vicenda un episodio isolato attribuibile ai “mariuoli”, o addirittura di insabbiare tutto con la complicità di giudici compiacenti. Di Pietro non si lasciò intimidire e, se ha potuto proseguire arrivando dove tutti sappiamo, il merito in parte è anche nostro, di quella fetta dell’opinione pubblica che sin dall’inizio si è schierata con entusiasmo dalla parte del “giustiziere di Tangentopoli”. A febbraio eravamo in pochi a gioire e a combattere. Era l’Italia pulita, onesta, che non ama gli schiamazzi di piazza. Tra questi pochi c’erano in blocco i nostri lettori.
Per qualche giorno, Di Pietro ci ha fatto rivivere le emozioni degli anni ‘70: si tifava per lui come si tifava per Montanelli contro la tracotanza dei comunisti e le pallottole delle Brigate Rosse. Ma oggi a quale spettacolo assistiamo? Sul carro della denuncia di Tangentopoli sono saliti tutti gli onesti e le persone per bene, certo, ma anche i corrotti, i furbastri, gli opportunisti. Insomma, il peggio del paese. Ed è proprio la loro voce a tuonare sempre più forte, surclassando quella dell’Italia dal volto pulito. Sono questi maestri della propaganda e del conformismo ad aver ispirato alcune delle recenti spettacolari iniziative e a coniare gli slogan più incisivi a sostegno dei giudici di Milano, così brillanti da far apparire naif è un po’ patetiche le scritte sui muri “Forza Di Pietro” che ci entusiasmavano la primavera scorsa. C’è da preoccuparsi. Quelle centinaia di persone che oggi gareggiano a chi urla nelle piazze gli insulti più virulenti contro i potenti caduti in disgrazia sono le stesse che fino a pochi mesi fa bazzicavano nelle anticamere del potere, nella speranza di partecipare alla spartizione del malloppo. Portaborse, intellettuali alla moda, giornalisti di regime, arrampicatori e affaristi.
Il loro scopo è evidente: appropriarsi la bandiera dell’Italia onesta e introdursi nelle forze politiche emergenti (Lega, Rete, Msi, movimenti referendari) per continuare a fare quel che hanno sempre fatto ho sognato di fare: la dolce vita e le carriere facili a spese del paese. Ormai manca solo che anche mafiosi e camorristi esprimano solidarietà e appoggio a Di Pietro. Per questo, caro direttore, “Il Giornale” vada ancora una volta controcorrente, iniziando una di quelle battaglie per le quali i nostri lettori dal 1974 ci appoggiano con passione ed entusiasmo. Come nel 1988, quando svelammo lo scandalo dell’“Irpiniagate”. Come agli inizi degli anni 80, quando fummo i primi a denunciare la corruzione della partitocrazia e a invocare la riforma del sistema elettorale. Continuiamo a schierarci con Di Pietro, ma fuori del gregge dell’ormai gratuito “dipietrismo”. Lasciamo ad altri le chiassate di piazza e diamoci da fare per smascherare gli eterni furbi d’Italia.
(Marcello Foa, “Sul carro degli onesti”, lettera pubblicata sul “Giornale” del 21 dicembre 1992 dall’allora direttore Indro Montanelli, che in calce alla missiva aggiunse: «Questa lettera, caro Foa, potrei avrela scritta io». Lo rammenta lo stesso Foa, in un affettuoso ricordo che dedica a Montanelli sul blog “Il cuore del mondo”, pubblicato sul “Giornale” il 21 luglio 2018. Impegnato a denunciare le ipocrisie dei media mainstream con saggi di successo come “Gli stregoni della notizia”, oggi Foa condanna l’ostracismo moralistico del vecchio establishment, ostile a Salvini e al sovranismo democratico “gialloverde”).